Benedetta Vitelli, la ragazza di sala che ha conquistato Alain Passard: «Accogliere è meglio che servire»
Sono nata ad Ascoli Piceno, la città delle cento torri. Posso dire di essere nata in cucina: vengo da una famiglia di ristoratori e la maggior parte dei ricordi, delle avventure e delle esperienze ruotano attorno a questo mondo.
La mia storia con la sala nasce, forse, dal rifiuto. Il rifiuto di passare tutto il mio tempo, personale e non, in un ristorante. Motivo che mi ha condotta a 19 anni a Milano, desiderosa di cambiar vita e di intraprendere una carriera nel mondo della grafica pubblicitaria. Tutto molto bello, non mi fossi ritrovata a lavorare, guarda caso, per il settore food & beverage. Cinque anni dopo, immersa tra menu, loghi e packaging, un nuovo rifiuto nasce, o meglio una consapevolezza: quella di non riuscire più a star ferma, dietro uno schermo, a sviluppare progetti per ristoranti che non conosco nemmeno. In quel momento della vita, mi manca qualcosa, come una scintilla. Ho bisogno di tornare in sala, vivere l’adrenalina, il servizio, l’incertezza.
Lascio Milano e programmo un ritorno nelle Marche. Nel frattempo mi fermo a Colorno dove, grazie a Alma, imprimo una svolta decisiva alla mia vita: dopo il corso in Food&Beverage Management, torno al ristorante di famiglia, che gestisco un anno prima di trasferirmi in Francia.
Quand’ero grafica, una delle cause che mi spinse a scegliere la ristorazione è il documentario di Netflix su Alain Passard. Quel racconto mi ha fatto sognare e mi ha trasmesso tutta la passioneper il mio lavoro. I sogni tuttavia restano sogni e non avrei mai pensato di riuscire ad avere la possibilità di lavorare con chef Passard. A essere sincera, posso dire di essere arrivata a L’Arpège per pura fatalità. Il merito è stato del mio primo chef sommelier, Mickaël, che ha inviato il mio curriculum – a mia insaputa – al ristorante di rue de Varenne. Ricordo ancora quando ho ricevuto la chiamata: ero attonita. Non solo perché non avevo inviato io stessa la candidatura ma perché non mi sentivo all’altezza di un tre stelle Michelin. Avevo – e ho ancora – tanto da imparare.
Con lo chef ho un rapporto unico. È un visionario e riesco a trovare grande ispirazione nei suoi discorsi, nel suo modo di vedere le cose. Non so come ci riesce ma è come se lui si proiettasse costantemente in avanti, anticipando i tempi. I piatti a volte li sogna, e ce li racconta il giorno dopo. A volte li inventa e non sappiamo come, poi un cliente ci racconta in che modo lo ha fatto perché magari è lo chef stesso ad avergliene parlato. Con lui ho una grande fortuna: condividiamo la passione per il mondo del vino e ciò ci permette di andare oltre, di cercare nuovi vignaioli e di proporre cose fuori dal comune.
LE STAGIONI DEL VINO. Passard mi ha chiesto di diventare chef sommelier qualche tempo dopo il primo servizio, avvenuto nel dicembre 2022. Ho impiegato circa un mese per far fronte alla proposta ma in realtà è venuto tutto naturalmente. Senza rendermi conto, gestivo già la cantina, la sola differenza è che solo lui vedeva il mio potenziale. Nel definire la wine list, seguo una logica piuttosto creativa, nel rispetto dei tempi della natura. Mi piace pensare alla carta del vino come a qualcosa di vivo, che si rinnova, un po’ come in cucina. Agli ospiti parlo di una carta “di stagione”, esattamente come avviene ai fornelli dello chef. La selezione segue i cambiamenti del nostro menu.
Si cambia ogni giorno a L’Arpège: una salsa, un ripieno o un condimento, secondo gli ingredienti che riceviamo dai nostri giardini. Così, io e l’equipe abbiamo voglia di esplorare nuovi abbinamenti e nuove etichette. Ogni giorno è una nuova sfida. La nostra cantina conta oltre 40mila bottiglie ma la nostra carta ne ha circa mille, e viene rinnovata ogni due settimane per seguire la stagionalità dei prodotti ma soprattutto per rispettare il gusto del nostro palato. In inverno cerchiamo la rotondità, il calore e i sapori confortanti, in primavera cerchiamo la freschezza e le acidità che risvegliano il palato dal letargo.
Fare servizio all’Arpège è per me fonte di ispirazione quotidiana: abbiamo la fortuna di incontrare persone da tutto il mondo ed ognuno ci insegna qualcosa. Ma è anche una dura sfida, perché la passione per questo mestiere ti impone di inseguire costantemente la perfezione. Due minuti prima di entrare in sala mi muove un pensiero: rendere unico il momento che i clienti passerà con noi. Anche se per noi tutto è quotidianità e alcune azioni diventano ripetitive, mi sforzo sempre di mantenere quest’obiettivo in testa. Tutto ciò che facciamo ha un valore enorme, non solo per noi, ma per la persone che ricevono il nostro lavoro. Questa per me è il vero significato di accoglienza.
[[ima2]]ACCOGLIERE, NON SERVIRE. Ogni giorno, cerco di contravvenire alla rapidità cui ci costringe il nostro tempo: penso infatti che, per andare più veloci o per avere più comfort, spesso non diamo più valore al tempo e alle persone. Ma lavorare in un ristorante o in un hotel, non dovrebbe significare “servire”, come fa un maggiordomo: occorre “accogliere”, cioè ascoltare, essere disponibili, esercitare i principi della gentilezza e dell’uguaglianza. Le mie migliori esperienze nel mondo dell’alta cucina sono state rese possibili proprio grazie a persone “ospitali”, che mi hanno fatto perdere la concezione del tempo. Penso sia un tema centrale per superare la crisi di personale della ristorazione. Sta a noi generare il cambiamento, che passa da una nuova visione dei ruoli.
Due piccoli consigli per ragazzi che sono affascinati da questo mestiere. Il primo è che non bisogna avere fretta. La caparbietà di fondo, la volontà che si ha di fare bene è più importante della quantità di competenze che si hanno – quelle puoi sempre aggiungerle nel tempo. Il secondo consiglio è coltivare sempre nuovi interessi: il nostro arricchimento personale non passa solo dalla ristorazione ma dal tempo che dedichi ai viaggi, all’arte, allo sport, al teatro. Siamo come piante e abbiamo bisogno di nutrirci per crescere e maturare.
TRA 10 ANNI. Dove mi vedo tra 10 anni? Dove mi porterà il vino! Scherzo, ovviamente. Spero di rientrare in Italia e di avere un nuovo progetto su cui lavorare.