Allevamento di polpi: un equilibrio tra esigenze di mercato e sostenibilità

L’idea di allevare i polpi ha preso piede negli ultimi anni, per soddisfare la domanda di un prodotto sempre più richiesto e rendere più economica la filiera. Questa iniziativa, però, è al centro di un dibattito che contrappone l’industria ittica – favorevole all’allevamento – e chi mette in guardia sull’eticità di tale iniziativa. Secondo gli esperti, infatti, ai problemi di sostenibilità ambientale per gli ecosistemi marini si aggiungono forti dubbi sul benessere di animali intelligenti e non adatti agli spazi ristretti. Ma com’è organizzato l’allevamento e per quali motivi viene aspramente criticato? Considerando le ricerche e le iniziative già avviate per ostacolarlo, dopo aver approfondito i motivi della riduzione della pesca cercheremo di saperne di più.
Allevamento dei polpi: i problemi etici e ambientali

La carne di polpo nel mondo piace e si mangia quasi ovunque, tanto che la richiesta è in continuo aumento, grazie alle sue proprietà gastronomiche e nutrizionali che la rendono perfetta per gli attuali trend alimentari. Dalla cucina europea a quella asiatica e latino-americana, infatti, la domanda è spinta dalla popolarità del sushi, delle tapas e del poke, e in generale dalla predilezione diffusa per un’alimentazione leggera ma ricca di proteine.
Se la richiesta e i prezzi sono in ascesa, le catture sono calate nei luoghi tradizionali di pesca, come le coste atlantiche dalla Spagna al Senegal e i mari del Giappone e del Messico; inoltre, la crisi climatica – che nel Mediterraneo sta favorendo la diffusione di pesci esotici – minaccia un ulteriore danno alla biodiversità autoctona, polpi compresi. Ad ogni modo nel mondo, secondo la Fao, le catture sono pari a circa 420.000 tonnellate annue, mentre tra i principali Paesi consumatori risultano Corea del Sud, Giappone, Spagna, Italia, Portogallo e Stati Uniti.
Per far fronte alla crescente domanda del mercato, da alcuni anni sono stati avviati progetti per realizzare impianti intensivi di allevamento, in particolare alle Isole Canarie, alle Hawaii, in Messico e in Canada, attirando forti critiche per questioni di tipo ambientale ma anche etico, dovute alla complessità comportamentale ed emotiva di questi animali.
Secondo le associazioni animaliste, allevare i polpi nel rispetto del loro benessere sarebbe di fatto impossibile, tanto che numerosi studi provano l’intelligenza e la capacità di provare emozioni e sensazioni di queste creature, tra le pochissime in grado di risolvere problemi complessi, che utilizzano strumenti per nutrirsi e memorizzano procedure elaborate. Il saggio The Case Against Octopus Farming, del 2019, sottolineando lo stress e la monotonia della cattività, ha puntato il dito contro le gravi conseguenze etiche ed ambientali della produzione industriale di polpo, che “dovrebbero farci chiedere se vogliamo ripetere gli errori già fatti con gli animali terrestri”. La cattività sarebbe particolarmente crudele per animali con un sistema nervoso così complesso e cervelli così grandi, capaci di mimetizzarsi, giocare e mettere in atto evolute strategie di navigazione e caccia, in habitat che in natura sono molto vari.
A contribuire alla rinnovata sensibilità nei confronti dei polpi è stato anche il documentario Premio Oscar 2021 My octopus teacher – Il mio amico in fondo al mare, la storia vera di una singolare amicizia tra un polpo e il naturalista sudafricano Craig Foster, che ha colpito e commosso milioni di persone in tutto il mondo, svelando l’intelligenza di questi animali.
Animali intelligenti e non adatti all’allevamento intensivo

Si tratterebbe quindi di creature pienamente senzienti e particolarmente inadatte all’allevamento intensivo per la loro natura solitaria: possono infatti verificarsi episodi di cannibalismo dovuti a stress e sovraffolamento, mentre la costante esposizione alla luce artificiale nuoce a specie che in natura vivono prevalentemente al buio.
Nel rapporto Octopus Factory Farming – A Recipe for Disaster, curato da CIWF (Compassion in World Farming), si evidenzia anche come negli allevamenti i polpi vengano spesso sottoposti a metodi di soppressione dolorosi, come l’immersione in acqua ghiacciata e biossido di carbonio che provocherebbe una morte lenta e sofferta. Abbiamo già affrontato tematiche simili occupandoci del trattamento subito dalle aragoste.
Le criticità dell’allevamento dei polpi riguardano anche l’impatto ambientale, anche se apparentemente sembrerebbe contribuire alla riduzione della pesca eccessiva, poiché le caratteristiche e le necessità dei Cefalopodi giocano contro questa idea. Si tratta, infatti, di carnivori che devono essere nutriti con crostacei o piccoli pesci, a loro volta da allevare o pescare, amplificando il costo ambientale della filiera. CIWF stima che per produrre un chilo di polpo allevato sarebbero necessari almeno tre chili di pesce pescato, un dato lontano da qualsiasi concetto di sostenibilità, che potrebbe contribuire alla sovrapesca di altre specie.
L’allevamento intensivo di specie marine, inoltre, favorirebbe la diffusione di patologie anche al di fuori degli spazi circoscritti, l’inquinamento idrico prodotto dagli scarichi danneggerebbe la fauna e la flora marine e sarebbero, infine, molto elevati i consumi elettrici.
Allevare i polpi: c’è chi dice sì

Chi è a favore di queste iniziative sostiene che l’acquacoltura è l’unica via per soddisfare la domanda nel segno di una maggiore sostenibilità. Al contrario di chi la osteggia, vengono segnalati aspetti del polpo funzionali a questa pratica, come il ciclo di vita naturalmente breve e la crescita veloce. Alcune delle specie più comuni vivono da uno a due anni e altre di polpo gigante fino a cinque, mentre il loro peso può aumentare del 5% in un solo giorno. L’allevamento permetterebbe di allungare la vita ai polpi, in particolare alle femmine, che in natura si riproducono una volta, poi smettono di cacciare e muoiono poco dopo. Anche i maschi, generalmente, non vivono molto a lungo dopo l’accoppiamento. Sarebbe da ridimensionare anche la proporzione tra mangime consumato e resa finale in carne di polpo dei sistemi di allevamento. Tra gli ostacoli ai piani di acquacoltura, invece, c’è la necessità di proteggere i piccoli fino all’inizio della crescita, difficoltà incontrate in Spagna come in Australia, tanto da optare quasi sempre per l’accrescimento di esemplari selvatici in recinti in acqua.
Tra le ragioni dell’allevamento dei polpi ci sarebbe anche il supporto alle scorte selvatiche, in quanto per soddisfare la domanda della filiera ittica non si dovrebbe ricorrere unicamente alla pesca, contribuendo alla conservazione delle popolazioni naturali. Un altra motivazione, infine, è la possibilità di sviluppare la ricerca legata a questi animali. Dagli antibiotici che si potranno ottenere dal loro rivestimento di mucosa protettiva, agli studi sulla rigenerazione dei tessuti e alle applicazioni nella robotica, infatti, sono molti gli sbocchi che si stanno studiando. Ad ogni modo, la ricerca per un’acquacoltura sostenibile prosegue, per migliorare le tecniche di allevamento, la nutrizione e la gestione del benessere di questi animali e sviluppare sistemi più sostenibili.
I progetti avviati
Il dibattito sugli aspetti etici, quindi, è complesso e non a senso unico. Non manca chi sostiene che con metodi compatibili con la natura di questi animali l’allevamento non sarebbe da escludere a priori, e sono già stati avviati piani sperimentali di acquacoltura. Nell’aprile 2024, però, il primo progetto al mondo di allevamento industrializzato di polpi, su iniziativa dell’azienda Nueva Pescanova a Gran Canaria, ha ricevuto una iniziale bocciatura dal governo locale, dopo che già nel 2021 CIWF aveva segnalato la crudeltà e il danno ambientale di questo possibile impianto. L’azienda ittica spagnola, per proseguire l’attività, dovrà sottoporsi a una nuova valutazione di impatto ambientale. L’acquacoltura intensiva in Spagna, infatti, è soggetta solo a una verifica ambientale semplificata, ma in questa vicenda si è considerato che l’allevamento dei polpi potrebbe avere una ricaduta significativa sull’ecosistema locale, pertanto verrà effettuato un controllo più severo.
Altri piani di ricerca e applicazione di questa forma di acquacoltura sono partiti in Messico e un finanziamento europeo ha interessato un progetto pilota per il trasferimento delle tecniche di allevamento del polpo agli operatori del settore in Puglia. In Spagna e in Italia sono notevoli gli investimenti pubblici nello sviluppo di programmi di ricerca finalizzati all’allevamento: nel nostro Paese 13,3 milioni di euro complessivi, di cui circa 250.000 di fondi Ue.
Iniziative animaliste, divieti di allevamento e alternative

L’opposizione ai progetti di allevamento dei polpi si esprime con diverse iniziative, di carattere associativo e amministrativo. In occasione della Giornata mondiale del polpo, lo scorso 8 ottobre, CIWF ha guidato un gruppo di oltre 90 associazioni chiedendo al Governo spagnolo di interrompere i finanziamenti all’allevamento. L’esempio da seguire, secondo l’associazione animalista, sarebbero gli Stati di Washington e della California, negli Usa, dove già si applica un divieto in questo senso, mentre in Canada è stata presentata una petizione per vietare questi allevamenti. Anche le Hawaii stanno considerando una legislazione simile, dopo la chiusura di un allevamento di polpi sulle isole per presunte catture illegali e condizioni inadeguate. In seguito all’avvio del progetto alle isole Canarie sopra citato, il dibattito si è diffuso anche in Europa. Nel frattempo, sono allo studio alternative vegetali alla carne di polpo a base di micoproteine.
Come abbiamo visto, l’idea di allevare i polpi continua a essere discussa, con pareri che si dividono quando si parla di sostenibilità economica, ambientale e benessere animale.
Immagine in evidenza di: nblx/shutterstock
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