Ristorante Anima: la cena stellata a sei mani degli Chef Bartolini, Bianchi e Cobuzzi

Tra i sogni di tanti c’è quello di partecipare a una cena stellata, ma quanti hanno veramente la fortuna – e la possibilità – di concederselo? Soprattutto, cosa la rende davvero indimenticabile? Lo scorso 4 giugno sono stata a Milano, ospite del ristorante Anima (1 stella Michelin) di Enrico Bartolini, lo Chef più stellato d’Italia – 14 stelle Michelin e ben 11 ristoranti, non solo in Italia ma anche a Dubai, Hong Kong e Bali.
Insieme a Michele Cobuzzi, Executive Chef pugliese di Anima, Bartolini ha voluto al suo fianco Mattia Bianchi, Chef del ristorante Amistá (1 stella Michelin), situato all’interno del Byblos Art Hotel nella Villa Amistà di Corrubbio (VR), nel cuore della Valpolicella.

Una serata unica, caratterizzata da una cena a sei mani che ha unito in un solo menù tre personalità diverse legate dalla stessa passione per la ricerca e dalla curiosità di sperimentare nuovi sapori. Lombardia, Veneto e Puglia si sono così incontrati per dare origine a piatti estrosi, ma sempre equilibrati. Curioso di scoprirli?
Il ristorante Anima di Enrico Bartolini tra lusso, passione e umanità
Prima di entrare nell’anima del menú della serata, partiamo dalla location. Anima non è solo l’essenza di una cena che parla di innovazione e territorio, ma anche il nome del ristorante che l’ha organizzata: il locale si trova a Milano, in Via Gaspare Rosales, 4, in un nuovo quartiere tra Porta Nuova, Corso Como e Corso Garibaldi. Una zona che si è evoluta diventando molto moderna e che ha donato a Milano una luce nuova, sostiene Bartolini, il quale ha scelto di inserirvisi con un ristorante gourmet per dare un profumo diverso alla città. Tutto questo è stato reso possibile grazie a Chef Cobuzzi, che interpreta ed evolve la cucina pugliese in una chiave elegante, lussuosa, e che riflette le aspettative di una metropoli cosmopolita come Milano. Ma non è un lusso qualsiasi, quanto un “lusso gastronomico”, come lo definisce lo chef, che si fa anima – appunto – di un locale pronto ad accogliere, coccolare e stupire.
Veneto, Lombardia e Puglia: come si uniscono tre regioni diverse in un solo menù?

La serata del 4 giugno ha portato sulla tavola dei commensali i piatti di tre regioni che, pur appartenendo a diversi territori d’Italia, hanno saputo interagire tra loro e comunicare autenticità al commensale mantenendo un filo conduttore che le ha tenute insieme dall’inizio alla fine: l’umanità. Ogni piatto proviene, genera e si sigilla in un ricordo, ed è proprio questo a legare chef e commensale in un dialogo gastronomico che attraverso i piatti sviluppa energia. “Dipende tutto dalla gioia che ci si mette nell’approccio e questo dipende dalle energie che si creano con chi c’è intorno”, afferma Chef Bartolini, anfitrione della serata, quando gli chiedo qual è la chiave per far funzionare un menù composto da piatti così diversi tra loro. “Se un ospite passerà la serata con una persona piacevole è più facile che apprezzi tutto, inclusa la cucina, l’abbinamento, l’esperienza e l’atmosfera. Perché lui stesso genera molta energia […] Lo stesso facciamo noi in cucina”.
Un gioco di sinergie, quindi, che crea fili invisibili e connessioni umane dove la chiave di volta è la passione per il proprio mestiere. “Ogni chef attinge alla propria cucina e ai propri signature, affinché ci sia una vena di vanità e ciascuno possa esibire il proprio ego culinario”, conclude Bartolini. Ma quali sono, quindi, questi piatti? È il momento di scoprirli!
Il Riso Rapa Evolution di Enrico Bartolini: un piatto iconico
Partiamo dal Riso Rapa Evolution di Enrico Bartolini, il suo piatto iconico per eccellenza nonché cavallo di battaglia. Nato come risotto tradizionale, stupisce per il suo colore brillante e rimane impresso, non solo nella memoria ma anche nel cuore, per il suo chicco di riso. È la sua “anima” a parlare. La sua parte più interna e perfettamente al dente, che sostiene e allo stesso tempo dà corpo a un intero piatto proprio come fa lo chef, il pilastro dell’intera brigata all’interno della cucina. La barbabietola, invece, ha un colore sgargiante, tantissime proprietà nutritive, dalle vitamine ai sali minerali, ed è brillante: così sono i giovani che scelgono di lavorare in cucina. Ma c’è anche del gorgonzola nel piatto, l’ingrediente dal sapore più deciso e che funge da bussola, guidando la forchetta del commensale, mentre lo va a cercare per preparare l’assaggio. Lui è l’executive chef. E infine, l’evoluzione: la salsa di noci e di ciliegie o di more a seconda della stagione. Alle mie papille e ai miei occhi, lei rappresenta il personale di sala, mentre si muove, danzante, tra i tavoli bianchi, che a loro volta ricordano i chicchi di riso.
I piatti di Mattia Bianchi: tra Valpolicella e Oriente
Metafore a parte, proseguiamo con i piatti di Mattia Bianchi, giovane Chef emergente originario della Valpolicella e “anima genuina” della serata. La sua proposta è tipicamente veronese, ma contaminata dalla sua esperienza nella cucina orientale con qualche declinazione dettata dall’interesse per il pesce. Sono un esempio gli stuzzichini preparati per la serata: la melanzana maturata con sesamo e foglia d’ostrica avvolta in una foglia di koji e lasciata maturare tre giorni in frigorifero; la seppia al 100%, tagliata a julienne come se fosse un guanciale e servita con il cavolo cinese e una maionese preparata con il suo fegato; e per finire la foglia di riso croccante servita con Garronese Veneta, una razza bovina di San Zeno di Montagna (VR), una salsa ponzu (riprende la sua esperienza della cucina orientale) e del caviale di sesamo.

Un modo per portare un po’ d’Asia anche a Milano, ma mantenendo sempre l’essenza di un territorio d’origine che si esprime anche nei suoi main courses: il luccio del Garda, servito con un peperone e una schiuma di vino soave, e i Tortelli di Corte Veronese, un piatto dedicato alla nonna a base di carni da cortile e servito con tartufo nero e una salsa di fegatini latte e miele. “Questo è il mio modo per portare la Valpolicella a Milano”, afferma Chef Bianchi prima di dare il via alla serata.
Michele Cobuzzi lancia una provocazione con il suo arrosto vegetale
Concludiamo con Michele Cobuzzi, pugliese di nascita e milanese d’adozione, nonché “anima calda” della cena a sei mani. Calda, perché proveniente dalle terre del sud, che trionfano sulla tavola con focacce e panificati fatti con lievito madre e accompagnato da un olio extra vergine d’oliva e salsa alla carota. Il suo main course della serata è stato uno dei piatti più apprezzati, forse per l’azzardo o forse per la sua semplicità. Sicuramente per l’eccellente tecnica di lavorazione della materia prima, unita alla capacità di generare un ricordo lontano e nuovo allo stesso tempo. L’arrosto che fa pensare alle nonne, infatti, questa volta era a base di scarola. Una provocazione che vuole stupire partendo da un ingrediente vegetale e povero, che va arricchito per essere valorizzato al meglio.

Ecco che la scarola viene lavorata come un arrosto di carne: insaporita con del sale e con delle erbe e legata con uno spago proprio come un classico arrosto della domenica. Poi viene passata sulla brace, bruciata, pressata e poi bucata ovunque per far si che venga eliminata la parte più amaricante della scarola. Infine, viene laccata con una riduzione di ciliegia, che concede un giusto compromesso tra parte dolce, acida e amaricante della scarola. “È un piatto che crea un effetto sorpresa”, afferma Chef Cobuzzi, specificando come sia bello rappresentare l’Italia da nord a sud in un’unica pietanza. Come contorno, infatti, ha scelto di aggiungere il porcino, guarnito da una salsa al timo ed erba cipollina che dona gusto e freschezza.
L’anima di una cena stellata: tra chef, maître e personale di sala

C’è un ricordo molto vivo che mi sono portata a casa dopo la cena al ristorante Anima: il tocco gentile della cameriera che mi ha cambiato il tovagliolo sostituendolo con uno pulito, caldo e che profumava di limone. Ho parlato di grandi piatti, ma l’anima di un ristorante stellato non è composta solo dalle personalità degli chef espressa a tavola. È l’essenza di un momento conviviale, dove l’ego scompare e si crea una sinergia di emozioni che si manifestano grazie al risveglio dei cinque sensi attraverso la cucina. C’è chi sorride, chi si ricorda della scarola che preparava sempre la nonna, chi semplicemente si meraviglia davanti alla scoperta di un nuovo sapore. Un momento vissuto attorno a un tavolo e reso possibile grazie ai piatti, certo, ma anche grazie a chi dona effervescenza alla sala con passi leggiadri, movimenti delicati, cambi di stoviglie che riflettono la luce per accogliere zampillanti sorgenti di vino.
E tu, sei mai stato in un ristorante stellato? Ti piacerebbe provare Anima di Chef Bartolini?
Immagine in evidenza di: Francesca Di Cesare
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