Confezioni uguali, meno prodotto: che cos’è la “Shrinkflation”

     

    I prezzi sugli scaffali dei supermercati non cambiano ma, una volta a casa, ci si accorge che i prodotti finiscono prima, come se le quantità fossero ridotte rispetto alle aspettative.  Può sembrare una suggestione, invece è il frutto di una vera e propria strategia messa in atto da alcune grandi multinazionali del settore food. Il fenomeno ha anche un nome, “shrinkflation”: scopriamo insieme di cosa si tratta e come riconoscerlo, per fare la spesa con maggiore consapevolezza.

    Shrinkflation: che cos’è?

    Il termine shrinkflation è stato coniato a partire dalla crasi tra il verbo shrink che in inglese significa “restringere” e inflation, “inflazione”. Descrive, dunque, il fenomeno per cui assistiamo a un ridimensionamento dei prodotti proposti ai consumatori a fronte dello stesso prezzo di prima oppure di una riduzione non proporzionata.

    Gli esempi sono moltissimi. In ambito alimentare, questo si può tradurre in confezioni pressoché identiche a quelle che conosciamo, al cui interno c’è però meno prodotto. È il caso, ad esempio, di un sacchetto di patatine: nel solito pack possiamo addirittura trovare fino a 10 patatine di meno. Lo stesso fenomeno vale per le confezioni di pasta: nelle scatole dove di solito venivano venduti 500 grammi di prodotto, ne troviamo 450. La stessa strategia può essere applicata anche alle bevande: bottiglie o lattine da mezzo litro dove, senza cambiare design, troviamo 400 ml allo stesso prezzo di sempre.

    PERO studio/shutterstock.com

    Si parla di shrinkflation quando sono presenti entrambi gli elementi che nascondono l’aumento di prezzo al consumatore: la riduzione della quantità di prodotto e un costo pressoché uguale a prima. 

    Non si tratta, tuttavia, di un fenomeno del tutto nuovo. L’Office for National Statistics del Regno Unito ha pubblicato già nel 2017 una prima raccolta di dati sull’evoluzione del fenomeno nel Paese a partire dal 2015. Il titolo della pubblicazione pone una domanda diretta al consumatore: “quanti dei tuoi prodotti stanno diventando più piccoli?”. I ricercatori britannici hanno analizzato un paniere di 285 prodotti e osservato come è variata la quantità della porzione proposta al consumatore. In 206 casi quest’ultima è diminuita e solo in 79 è aumentata, e nella maggioranza dei casi si trattava di prodotti agroalimentari rispetto ai quali non è cambiato il prezzo.

    Perché alcune aziende ricorrono alla shrinkflation?

    L’invenzione di una parola ad hoc, ormai consolidata a livello internazionale per identificare questa tendenza, conferma come si tratti ormai di un fenomeno molto diffuso e di cui spesso il consumatore non è consapevole. 

    È più frequente che, mentre facciamo la spesa, dedichiamo attenzione alle oscillazioni dei costi e ci accorgiamo se il prodotto che normalmente ha un determinato prezzo diventa più caro. Questa, del resto, è la maniera tradizionale attraverso cui si esprime l’inflazione, ovvero l’aumento generalizzato dei prezzi che porta come conseguenza un minor valore della moneta. Spiegato con parole semplici, ciò significa che progressivamente la quantità di beni e servizi, compreso il cibo, che il consumatore può acquistare con 1 €, diminuisce.

    Dal punto di vista dell’azienda, la shrinkflation è un modo per risparmiare prodotto senza comunicarlo direttamente al consumatore. 

    Possono essere diverse le ragioni per cui un brand sceglie di ridurre le quantità: 

    • l’esigenza di far fronte ai rincari energetici, compresi gli aumenti delle bollette, e alle difficoltà di reperimento della materia prima, che in parte sono anche conseguenze dei conflitti.
    • Ci sono poi ragioni commerciali: alcune aziende hanno giustificato la variazione di peso a fronte di un cambiamento nella ricetta dei prodotti. Qualche esempio? Corn flakes con meno zucchero, oppure merendine più piccole rispetto al passato per adeguare l’apporto nutrizionale alle conoscenze scientifiche odierne. Non è un caso che, sui social network, il ritorno sugli scaffali del supermercato di alcune merendine iconiche degli anni Ottanta sia stato accolto con un filo di delusione dettato proprio dalle ridotte dimensioni che non combaciano con i ricordi. 
    • In altri casi, la scelta è dettata da esigenze di marketing: un aumento del prezzo può allontanare il consumatore. La shrinkflation agisce sul costo al kg, elemento meno evidente agli occhi di chi fa la spesa che, quindi, continuerà a scegliere lo stesso marchio senza rendersi conto del cambiamento in atto.

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    Shrinkflation, un fenomeno complesso su cui indagherà l’Antitrust

    Sebbene ad oggi non si consideri la shrinkflation un’azione illegittima, si pone il problema del grado di consapevolezza del consumatore. Indirettamente, infatti, è chi acquista a farsi carico del costo dei rincari. Proprio per questo le associazioni di consumatori si stanno attivando per aiutare il cittadino a riconoscere il fenomeno. L’associazione non-profit Consumerismo ha presentato un esposto all’Antitrust, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Si richiede di verificare se la shrinkflation sia o meno una pratica che viola le norme del Codice del Consumo e, di conseguenza, se si tratti o meno di una pratica commerciale scorretta. 

    Nel frattempo, i consumatori possono prestare maggiore attenzione ad alcuni dettagli. Il consiglio degli esperti per una spesa più consapevole è di osservare il prezzo al kg e non soltanto il prezzo al dettaglio. Un altro consiglio utile è quello di comparare peso e prezzo di prodotti di brand differenti, per poi scegliere la soluzione più adatta alle nostre necessità. 

    Come abbiamo visto, la shrinkflation è un fenomeno ormai diffuso: vi è mai capitato di notarlo mentre fate la spesa?

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