Boreto alla graisana: storia e ricetta della specialità simbolo di Grado

     

    A Grado, cittadina lagunare del Friuli Venezia Giulia, c’è il mare, c’è la sana schiettezza degli abitanti e c’è soprattutto il boreto alla graisana. Molto più di una specialità gastronomica, ma una vera e propria istituzione: un piatto dalle umili origini, fatto col pesce che rimaneva invenduto e che diventava quindi il pasto abituale nei cosiddetti casoni, dove abitavano le famiglie dei pescatori.

    I gradesi ne vanno fieri e ne hanno sempre portato avanti la tradizione, proteggendola anche dalle contaminazioni culturali e da fantasiose rivisitazioni. Fino a renderla una delle attrazioni della città, diventata oggi apprezzata meta turistica, coi suoi tanti ristoranti e trattorie tipiche che affollano i vicoli e le piazzette del castrum, il cuore della parte antica di Grado. Tante buone premesse attendono solo di concretizzarsi: ci state a lasciarvi trasportare in questo racconto su storia e ricetta del boreto alla graisana?  

    Credits @Nico Gaddi

    Il boreto alla graisana, espressione del legame col mare

    Siamo a Grado, cittadina nel cuore dell’omonima laguna che si estende tra la foce del fiume Isonzo e il mare Adriatico. Un’area di confine, dove il Friuli Venezia Giulia incontra la vicina Slovenia, che può essere considerata la porta Est d’Italia. Il legame col mare è inevitabile e ha condizionato da sempre la cultura locale anche nella cucina, in cui trova spazio il cosiddetto pesce povero dell’Adriatico: alici, comunemente chiamate “sardoni”, sardine (sardele nel dialetto locale), sgombri, papaline, suri, aguglie, volpine, cefali, lanzardi, palamite e palombi sono protagonisti di tante ricette tradizionali. Tra queste la più nota è senza dubbio il boreto alla graisana che, pur rientrando nel solco di altre specialità simili come il cacciucco alla livornese, si distingue per essere rigorosamente “bianca”. Niente fondo di pomodoro, cosa che farebbe risalire questa ricetta a tempi antecedenti la scoperta dell’America.

    Dai casoni dei pescatori a simbolo di un’intera città: il boreto alla graisana nella storia di Grado

    La tradizione del boreto alla graisana nasce, come abbiamo accennato, nei tipici casoni (detti anche casuni), ovvero i rifugi in legno costruiti direttamente sul mare, coi caratteristici tetti alti a punta fatti di paglia e canne di fiume, dove un tempo abitavano stabilmente molte famiglie autoctone. Qui si consumava ogni mattina il rito del passaggio del battelliere, deputato a ritirare il miglior pescato di giornata e andarlo a vendere al mercato per conto dei pescatori. Così il pesce rimanente diventava risorsa per soddisfare il fabbisogno della famiglia. Cucinarlo su una generosa base d’aglio e sfumarlo con l’aceto serviva a stemperare il sentore prepotente di certi tagli meno pregiati. L’abbondante uso del pepe è invece eredità del tempo in cui Grado era importante crocevia degli scambi commerciali tra la vicina Aquileia e l’antica Bisanzio.

    I gradesi hanno mantenuto un forte legame con questo piatto, celebrato anche da un’opera del poeta locale Biagio Marin, al punto da farne, nella primavera del 2019, una specialità inclusa nell’elenco dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) del Friuli Venezia Giulia. Immancabile nella proposta dei tanti ristoranti del castrum di Grado, tra calli, campielli e suggestivi pergolati, il boreto è anche protagonista di una rassegna che ogni anno, tra ottobre e novembre, coinvolge l’intera cittadina.

    Come si fa il boreto alla graisana: preparazione e ricetta

    Allo stesso modo di altre specialità nate dalla cultura popolare, non esiste una ricetta ufficiale del boreto alla graisana. In questo caso poi si tratta di un piatto di recupero, realizzato a partire dal pesce invenduto, che poteva quindi essere diverso di giorno in giorno.
    Inoltre i tagli di pesce utilizzato potevano essere di un’unica o di diverse specie. Di certo c’è che si trattava, in ogni caso, di “pesce povero”: palombo, coda di rospo, cefalo, scorfano, solo per citarne alcuni. Oggi, invece, i ristoranti gradesi ne propongono delle varianti che includono altri pesci, come l’anguilla e il rombo, e pure crostacei e molluschi – dal granciporro alle canocchie e alle seppie – trasformandolo in un piatto con gusti e consistenze diverse. 

    Credits @Nico Gaddi

    Tornando alle origini, altro elemento che non permette di identificare un modo univoco di cucinarlo è il suo essersi diffuso come vero e proprio rito domestico, nei casoni dove la cottura avveniva nel caratteristico laveso, casseruola in ferro dedicata esclusivamente a questa preparazione e che leggenda vuole non venisse nemmeno lavata, così da impregnarsi bene degli umori del mare.

    Un punto fermo del boreto alla graisana  è, come detto, l’assenza di pomodoro. La base è rigorosamente un intingolo di olio e aglio. Quest’ultimo, in particolare, dev’essere rosolato fino a diventare bruno, quasi abbrustolito.
    Sull’olio invece ci sono due diverse scuole di pensiero: c’è chi considera l’olio extravergine di oliva un valore aggiunto irrinunciabile e chi predilige l’olio di semi. Forse perché più neutro e quindi capace di lasciare in risalto il gusto del pesce senza coprirlo, forse perché più facilmente emulsionabile con l’acqua da aggiungere per portare a completamento la cottura, l’olio di semi sembra anche più vicino alle origini povere del piatto. L’aggiunta di sale e pepe – sul quale non si lesina – avviene in genere dopo la rosolatura del pesce, ma in alcuni casi si provvede dopo l’aggiunta d’acqua.
    Tutti d’accordo invece sul passaggio che prevede di sfumare il piatto con aceto di vino bianco e far restringere bene il fondo di cottura, che deve risultare piuttosto denso e mai brodoso. La tradizione popolare vuole infine che il boreto sia accompagnato dalla polenta di mais bianco, meno raffinata e, soprattutto all’epoca, meno costosa della classica polenta gialla. 

    Fatte tutte le premesse del caso, suggeriamo di seguito una ricetta che riteniamo aderente alla tradizione del boreto alla graisana. 

    Credits @Nico Gaddi

    Ingredienti per 4 persone

    • 1 kg circa di tranci pesce a piacere
    • 3 o 4 spicchi d’aglio 
    • mezzo bicchiere d’olio
    • mezzo bicchiere di aceto di vino bianco
    • sale grosso q.b.
    • pepe nero in grani q.b.
    • acqua

    Procedimento

    1. Lavate e pulite il pesce e tagliatelo in tranci.
    2. In una casseruola capiente versate gli spicchi d’aglio con l’olio e fateli rosolare a fuoco vivace fino a farli imbrunire
    3. Togliete l’aglio e aggiungete i tranci di pesce, scottateli bene da entrambi i lati, aggiungendo sale e pepe in abbondanza.  
    4. Aggiungete l’aceto e fatelo sfumare.
    5. Versate a questo punto l’acqua fino a coprire il pesce e proseguite la cottura finchè il fondo non si sarà ristretto.
    6. Servite in un piatto insieme alla polenta bianca che avrete nel frattempo preparato.

    La polenta può essere messa a margine del piatto oppure disposta sul fondo come letto su cui adagiare il pesce col suo sughetto. Qualora si usino tranci di diverse specie di pesce, bisogna fare attenzione a mettere in casseruola prima i tranci più grandi e che necessitano di una cottura più lunga. Il tempo per portare a compimento il tutto è in genere intorno ai 20-25 minuti, lo stesso che occorre per preparare la polenta d’accompagnamento. 

    Il boreto alla graisana è una specialità da gustare calda, magari insieme a un bicchiere di vino locale. E se in passato l’abbinamento inevitabile era con un bianco, ci permettiamo di suggerire di accompagnarlo con altre eccellenze regionali come Merlot, Refosco o Cabernet o – perché no? – con una delle ottime birre artigianali friulane.

    Vi è piaciuto questo viaggio a Grado a scoprire storia e ricetta del suo piatto simbolo? Siete curiosi di  gustare il boreto alla graisana?


    Immagine in evidenza di: Nico Gaddi 

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