La forte identità della Valtiberina in due piatti iconici di Pasqua

     

    Come sapete noi del Giornale del Cibo amiamo andare alla scoperta anche dei luoghi meno noti e battuti. Quei territori di confine che in Italia spesso vengono attribuiti a una regione o all’altra, pur avendo una forte identità propria, non riconducibile alle macroaree di cui fanno parte da un punto di vista amministrativo. È il caso, ad esempio, del Cilento o della Lunigiana, di cui vi abbiamo parlato più volte, a proposito dei suoi prodotti o dei suoi piatti come i testaroli

    Oggi, però, invece, vogliamo raccontarvi di un’altra zona, la Valtiberina, “una regione italiana mancata” come racconta Veronica Dini, valtiberina doc appassionata di cucina, ma soprattutto legata alla sua terra d’origine. In particolare vi parleremo della colazione pasquale e di due piatti particolarmente emblematici che troviamo solo ed esclusivamente in questa valle, ovvero la ciaramiglia e il pangiallo

    Ecco a voi la Valtiberina, terra di confine nella Valle del Tevere

    La Valtiberina – anche chiamata Alta Valle del Tevereè quella zona che si trova tra Umbria e Toscana, sotto Arezzo e il Parco del Casentino. “Un tempo era ricoperta di acqua, poi nei secoli si è asciugata” ci racconta Veronica. Le sue città più note sono Città di Castello, di cui è originaria la nostra cuoca, Anghiari che è la meta più turistica e conosciuta e San Sepolcro, paese natale di Piero Della Francesca dove Veronica ha vissuto per anni, prima di trasferirsi a Milano dove oggi insegna, sempre con la sua Valtiberina nel cuore. 

    AlviseZiche/shutterstock.com

    Ma perché è rimasta così legata a questa terra? “Perché è particolare, poco nota, molto verde, ricca di cultura e arte. Vi basti pensare che, oltre Piero Della Francesca, anche Michelangelo Buonarroti è originario di qui, di Caprese” continua Veronica. “Nel tempo quest’area ha sviluppato una sua identità, seppur influenzata dalle regioni che ha intorno, come appunto la Toscana o l’Umbria, ma anche le Marche e l’Emilia-Romagna” ci spiega. “È il classico posto che si trova a un’ora da tutto!” scherza. “Eppure qui, da un chilometro all’altro, ci sono tantissime differenze, anche se una cosa è certa: la parte umbra della Valtiberina è ben diversa dall’Umbria e la parte toscana dalla Toscana”. Da un punto di vista amministrativo, infatti, la Valtiberina fa parte dell’Umbria e della Toscana, pur avendo sviluppato caratteri identitari tutti suoi, soprattutto in cucina. “Come spesso accade in queste zone, la cucina finisce per fare da identificativo: i piatti valtiberini sono quelli che più di tutto creano un senso di appartenenza e di legame tra gli abitanti della valle”. Ma non basta, e quest’area resta ufficialmente non riconosciuta ufficialmente, se non dai suoi abitanti. “Ad esempio, se parli con un toscano di Siena o Firenze, ti dirà che per loro la Valtiberina non è Toscana!”. E in parte infatti ha ragione. Ad esempio i prodotti della Valtiberina di cui vi parleremo oggi hanno sì i loro omonimi nelle due regioni, ma hanno le loro peculiarità e quindi è fondamentale non confonderli. 

    Ma veniamo ora a una delle cose che ci ha colpito di più, ovvero la colazione pasquale, anche perché in questa occasione si consumano alcune specialità davvero caratteristiche ed emblematiche. 

    Valtiberina: i piatti tipici della colazione pasquale

    Come sapete, la Pasqua è una festività molto sentita in Italia, soprattutto in certe zone. È in questo periodo, infatti, che emergono tradizioni gastronomiche uniche, quali ricette, piatti o dolci davvero rappresentativi che si preparano solo ed esclusivamente per questa occasione, come vi avevamo detto a proposito della Liguria

    Ma cosa succede in Valtiberina? In tutte le case, ci racconta sempre Veronica, la mattina di Pasqua si inizia così: “con un uovo sodo benedetto dal parroco da mangiare a digiuno. Ora mi sono abituata, ma quando ero più piccola era un incubo quell’uovo sodo appena sveglia!”. Dopo questo “sacrificio”, per fortuna si prosegue con una serie di prelibatezze, che nella maggior parte dei casi si preparano solo in questa occasione. Possiamo suddividere la colazione in due parti, quella dolce e quella salata

    La prima prevede: 

    • ciaramiglia nel latte (di cui vi parleremo tra poco);
    • torta della nonna, simile alla versione mantovana, ossia una frolla senza crema;
    • classica crostata con marmellata.

    Foto di Giulia Ubaldi

    La seconda invece:

    • pangiallo, dove il giallo è dato dalla presenza dello zafferano. In comune con altri pani toscani ha solo il fatto di non essere molto salato, ma per lo stesso motivo: si mangia (solo ed esclusivamente a Pasqua) tagliato a fette in accompagnamento a salumi molto salati, come il crudo toscano, il capocollo, che qui si chiama scalmarita, o del Mazzafegato dell’Alta Valle del Tevere, prodotto principe della Valtiberina, oggi Presidio Slow Food. Si tratta di un insaccato che ha la particolarità di avere una piccola parte di cotenna e di fegato di maiale, scorza di limone o arancio e fiori di finocchio. Ovviamente viene chiamato così nella parte umbra, mentre lo stesso (quasi) identico prodotto prende il nome di Sanbudello nel lato toscano. 
    • La torta al formaggio, anche in questo caso da non confondere con la torta al testo umbra. “Se a Perugia chiedi la torta al formaggio, arriva una cosa diversa dalla nostra” continua Veronica. Quella valtiberina si prepara con farina, uova e formaggio, di solito un mix di parmigiano e pecorino. 

    Una volta terminata la colazione, siamo pronti per il pranzo, “ma vista l’abbondanza di quanto già mangiato, il nostro pranzo non dura mai troppo” avverte Veronica. È però interessante osservare come nelle portate successive emergano le influenze di altre regioni: 

    • come primo, infatti, c’è sempre una pasta fresca fatta in casa come le tagliatelle, o ripiena come i tortellini, che richiamano all’Emilia. “Queste le prepariamo spesso anche durante il resto dell’anno, non so quanti venerdì sera ho passato a casa a chiudere tortellini!” ricorda Veronica.
    • Come secondo, invece, arrosto di agnello, che ci riporta invece nelle Marche. 

    Oggi, però, abbiamo deciso di parlarvi dei due prodotti più valtiberini che ci siano, ovvero la ciaramiglia e il pangiallo, che ben raccontano la doppia appartenenza di questa zona alle due regioni Umbria e Toscana. Ma prima di procedere sarà bene che vi sia chiara una cosa: la ciaramiglia valtiberina è una cosa, quella umbra è un’altra; il pangiallo valtiberino è una cosa, quello toscano tutt’altra! Fatte queste premesse, possiamo procedere con le ricette di Veronica, che ha imparato a cucinare da sua mamma una volta trasferita a Milano, quando le mancavano troppo i piatti di casa e voleva farli provare al suo ragazzo. 

    La ciaramiglia (dal lato umbro) 

    Iniziamo dalle cose più importanti: la ciaramiglia si chiama e si prepara così solo ed esclusivamente nella parte umbra della Valtiberina. Nella bassa Umbria è invece diversa, e soprattutto viene chiamata ciaramicola. “La nostra si fa con farina, lievito, uova, uvetta, scorze di limone e di arancio, zucchero e il tocco identificativo del liquore alchermes. Il risultato è una pagnotta un po’ gnucca, che per questo si consuma sempre imbevuta nel latte o nel tè” ci spiega Veronica. Si prepara soprattutto nelle case, solo nel periodo pasquale: si può trovare anche in qualche forno, ma resta una ricetta estremamente casalinga, proprio come quella che vi diamo noi oggi. 

    Foto di Giulia Ubaldi

    Ingredienti 

    • 500 g di farina 0 oppure 00 (in passato si usava la 0, oggi si usano sempre le più raffinate)
    • 125 g di zucchero
    • 100 g di uvetta (messa prima in ammollo in acqua)
    • 50 g di burro
    • scorza di un limone grattugiata
    • scorza di un’ arancia grattugiata
    • 1 panetto di lievito birra
    • 1 bustina di lievito in polvere per dolci
    • 2 uova intere 
    • 1 tuorlo
    • q.b. di liquore alchermes

    Procedimento 

    1. Preparate il lievito di birra la sera precedente, facendolo sciogliere con poca acqua tiepida e due cucchiai di farina (deve restare liquido). 
    2. Coprite con pellicola e lasciate riposare per tutta la notte. 
    3. La mattina unite in una ciotola capiente la farina, il lievito in polvere, lo zucchero e le scorze grattugiate. Mescolate bene e, dopo aver creato la fontana, unite le uova. 
    4. Amalgamate e aggiungete via via il lievito di birra sciolto sempre mescolando per non formare grumi. Poi aggiungete l’uvetta. Attenzione: il composto deve risultare omogeneo, un po’ appiccicoso e non solido. 
    5. Imburrate e infarinate uno stampo stretto con bordi molto alti, versate il composto, spolverate la superficie con due cucchiai abbondanti di zucchero semolato e lasciate lievitare il tutto coperto da pellicola nel forno spento, finché non sarà raddoppiato
    6. Togliete la pellicola e, lasciando lo stampo dentro, accendete il forno a 170°C per 55 minuti
    7. Una volta cotto, bagnate la superficie della ciaramiglia con l’alchermes e servite. 

    Il pangiallo (dal lato toscano)

    Anche in questo caso, attenzione a non confonderlo con altri pangialli: quello valtiberino si prepara così solo qui. Infatti, ad esempio, in Lazio c’è un omonimo, ma che è molto diverso, ci spiega Veronica: “è un’antica ricetta romana con le uvette, nulla a che vedere con la nostra, così come il pangiallo toscano”. Quello valtiberino è invece un pane fatto a mano, non a lunga lievitazione, che si prepara con olio o strutto e si caratterizza per la presenza dello zafferano. Anche questo, si fa solo ed esclusivamente a Pasqua e si trova tanto nelle case quanto anche più comunemente in forni e supermercati (ripetiamo, sempre e solo in questo periodo). Dunque, ecco qui la ricetta tradizionale del pangiallo della famiglia di Veronica, che si tramandano da generazioni, con le dosi per circa due pagnottelle. 

    Foto di Giulia Ubaldi

    Ingredienti 

    • 600 g di farina 0 o 00 (in passato si usava la 0, oggi si usano sempre le più raffinate)
    • 2 uova
    • 2 cucchiai di sale
    • 1 cucchiaino di zucchero
    • 100 g di strutto o 100 gr di olio evo
    • 200 g di uvetta (messa prima in ammollo in acqua)
    • scorza di 1/2 limone 
    • scorza di 1/2 arancia
    • 1 bustina lievito per torte salate
    • 1 cubetto lievito di birra
    • 3 bustine zafferano 
    • 1 pizzico di pepe nero

    Procedimento 

    1. Preparate il lievito di birra la sera precedente, facendolo sciogliere con poca acqua tiepida (circa mezzo bicchiere) e due cucchiai di farina (deve restare liquido). Coprite con pellicola e lasciate riposare per tutta la notte. 
    2. La mattina seguente unite in una ciotola farina, zucchero, scorse, pepe, lievito in polvere e mescolate bene. Create la fontana e aggiungete uova, lievito di birra e zafferano sciolto in poca acqua tiepida
    3. Iniziate ad amalgamare il composto aggiungendo via via l’olio. Unite l’uvetta e continuate a mescolare l’impasto finché non risulta ben amalgamato; lavorate a mano l’impasto in una spianatoia per circa 30 minuti
    4. Fate due panetti di uguale misura di forma circolare e incidete la superficie con una croce.
    5. Poi mettete i panetti sulla teglia rivestita da carta da forno e lasciate lievitare per 4 ore.
    6. Una volta lievitati, infornate nel forno caldo a 170°C per 55/60 minuti. Quando è pronto, lasciatelo raffreddare prima di servirlo con i salumi, come da tradizione. 

    Vi abbiamo fatto venire voglia di andare alla scoperta di questa meravigliosa terra di confine, magari nel periodo pasquale?


    Immagine in evidenza di: Giulia Ubaldi

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